Quando ho iniziato a fotografare in teatro non avevo mai avuto modo di studiare in un corso. Avevo un po’ di attrezzatura per lo sviluppo regalatami da mio zio. Avevo un po’ di testi e raccolte degli anni ’80 che non capivo molto. La cosa più grande è che avevo i testi di Maurizio Buscarino. In quegli anni facevo l’attore in una compagnia storica del teatro di base bolognese. Spesso sentivo nominare il nome di questo fotografo dalla mia regista Vladimira Cantoni. Aveva fotografato in passato il “Gibus” (così si chiamava la formazione) e lo ha fotografato in futuro (rispetto alla mia militanza). “Il popolo del teatro” è un testo fondamentale per chi fotografa e per chi fotografa in teatro. Ritratti di gente di teatro: non solo attori e registi ma tutto il popolo che partecipa alla produzione finanche carcerati. Tutto il bello del teatro in quelle facce.
Che cos’è la fotografia che sto vedendo? È un ritratto di una storia. Un intero racconto caratterizzato in una foto di una persona.
Mi ha sempre affascinato la riflessione sulla fotografia di Roland Barthes. Quando ho letto il suo libro (inutile specificare quale) ho letto
“Tuttavia (mi pare) non è attraverso la Pittura che la Fotografia perviene
all’arte, bensì attraverso il Teatro.”
In teatro ho capito la differenza tra generi fotografici. Quando fotografavo l’insieme, fotografavo l’accadimento. La fotografia di evento al di fuori del teatro è uno scatto bello (per tutti), che racconta la storia ma che ha un valore, non estetico, solo per chi “appartiene” a quell’accaduto. Quando fotografavo i volti notavo che la stampa aveva un valore molto più che estetico per chiunque incrociasse quello sguardo, soprattutto se gli individui che osservavano non conoscevano il soggetto ritratto.
Per questo metto al primo posto la fotografia di ritratto. Perchè riguarda le persone e va oltre il racconto trattato.
Ieri Settimio Benedusi, un fotografo che ha riportato al centro del discorso il ritratto, ha scritto:
“Per tanto tempo ho realizzato fotografia estetica: serviva solo a mostrare bellezza.
Adesso preferisco fare fotografia anestetica: serve ad alleviare il dolore.”
Una cura che riguarda prima di tutto le persone ritratte. Vedersi in una fotografia, non solo bella ma che ti racconta. provoca sensazioni piacevoli verso se stessi e verso il mondo. Riguarda in secondo luogo l’altro, il piacere dell’incontro, di conoscere una persona su un piano diverso, più umano.