Nulla di personale

ma non è proprio così

In questi giorni ho avuto il piacere di conoscere Guido Giannini. Un vero fotoreporter per vocazione, che vive per la Fotografia e non di fotografia.
Ci sono tanti fotografi che raccontano poco, che fanno tantissime belle foto ma lasciano ben poco. Quello che noi vediamo di fotografia oggi è spesso solo marketing.

La Fotografia, invece, è uno strumento potente che può dare le stesse emozioni di un libro, di un film, di uno spettacolo, in maniera più immediata.

Il fotografo è un testimone, il prescelto per raccontare qualcosa che comunque sarebbe accaduto, anche senza di lui.

Guardando le foto di Guido, che espone in maniera concreta il suo microcosmo, mi rendo conto che ogni suo scatto è una narrazione epica. Ogni suo soggetto è un eroe contemporaneo. Un rivoluzionario che c’è e vuole esserci, anche se la realtà cerca di soggiogarlo. Ogni suo scatto celebra un sopravvissuto e la sua capacità di resistere al mondo. Proprio come avviene con Brecht nel suo teatro epico.

Chi ci parla è prima di tutto un anarchico. Un semplice fotografo che racconta le cose con una sottile vena grottesca. 

Cosa dice Smargiassi di lui http://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/2014/06/18/lanarchico-che-ha-messo-a-fuoco-napoli/
Seguitelo su Facebook https://www.facebook.com/guido.giannini.9

Detto questo, faccio seguire il testo che ho scritto per la sua mostra “Nulla di personale” presso lo spazio espositivo della Cantina Simone Giacomo in via Curtole a Castelvenere (BN).

Guido Giannini è nato nel 1930 a Napoli, dove vive e lavora. Inizia a fotografare alla fine degli anni ’50. Da subito si è distinto per le sue immagini e le sue fotografie sono state pubblicate su diversi giornali e riviste nazionali quali Il Mondo, la Repubblica, l’Unità, il Manifesto e altre testate e ha tenuto diverse mostre personali e collettive su tutto il territorio nazionale.

«Io sono un fotoreporter, ci sono luoghi, aspetti della realtà che mi stimolano, mi fanno nascere il bisogno di fermarli, e di raccontarli, magari denunciarli. La mia prima foto venne pubblicata da “Il Mondo” diretto da Pannunzio, era il 19 dicembre del 1961. Avevo già trentuno anni. Era l’immagine di una donna anziana che suonava il violino davanti alle vetrine della Rinascente di Napoli. Era vestita tutta di nero, con un borsone vuoto che le pendeva dal braccio che sosteneva il violino».

Quella foto assieme ad altri nove racconti di Napoli è esposta in questa mostra. Non ha nulla di personale col fotografo se non il fatto che egli è presente al momento giusto. Si fa testimone e racconta un pezzo della città in cui vive: che vive anche senza di lui.

Molte volte si pensa al fotografo come qualcuno che si ostina a cercare lo scatto. Aspetta per ore il momento giusto nello scenario scelto. Non è proprio così.

Le cose avvengono e di certo non grazie a noi: il fotografo è il prescelto, dal tempo o dalla Fotografia. Deve quindi raccontare qualcosa che è stato creato in quel momento e che comunque sarebbe accaduto.

Giannini è un vero profeta dell’ordine quasi religioso dei fotoreporter.

Poi oltre al fatto che è un bravissimo fotoreporter, che il tempo gioca a suo favore, c’è il racconto.

Nulla di personale, ma non è proprio così.

In questi dieci bianco e nero c’è l’uomo, al di là e al di qua del mirino. C’è la contemplazione della realtà bella.

  • Il caos delle stradine di Napoli: la suora e la pescivendola, con in evidenza la testa di pesce spada mutilata e appoggiata su una pietra;
  • le sue forme: la sedia, il mare e il Vesuvio innevato, opere nell’opera;
  • a volte grottesca: il clochard e il suo posto letto all’hotel;
  • con le sue mille sfaccettature, com’è mamma Napoli;
  • la sua passione: la crocifissione quotidiana che si contrappone al redentore di Rio.

C’è per il suo microcosmo l’amore: fortemente passionale, anarchico che rende “PROTAGONISTA” l’ultimo o per meglio dire il primo.

L’uomo rivoluzionario che vive se stesso a pieno nella sua condizione spesso disperata: si rivela con tutta la sua dignità, statuario, c’è e vuole esserci.

In questo microcosmo, forse involontariamente, riesce a diventare rivoluzionario persino il prete. Uno dall’aspetto conservatore che mentre passeggia, espia con preghiera le sue colpe esorcizzando la condanna che gli viene augurata.